In questi giorni si celebra il triste primo anniversario del fallimento della banca d’ affari americana Lehamn Brothers, evento che, dodici mesi fa, ha scatenato una crisi finanziaria e immobiliare senza precedenti e che, a molti operatori di borsa, ha ricordato la crisi del ’29 per gravità, conseguenze internazionali ed effetti dirompenti su tutti i mercati del mondo. Da allora sono decine gli istituti di credito falliti in tutto il mondo.
A un anno esatto di distanza, esperti economici e osservatori neutrali indicano nell’ avidità delle banche uno dei fattori scatenanti la crisi finanziaria che è venuta a crearsi. Vari istituti di credito, infatti, in questi mesi appena passati, per uscire senza danni eccessivi dalla turbolenza finanziaria, hanno adottato l’ unica strategia vincente che conoscevano.
Ovvero, hanno prestato i soldi e finanziato chi non ne aveva bisogno, chiudendo completamente i rubinetti a tutti gli altri (per mesi i quotidiani italiani, sia di destra che di sinistra, hanno ricevuto lettere angosciate e / o accorati appelli di semplici cittadini, di associazioni di consumatori, sindacalisti e uomini politici.
Su tale questione, feroci sono state le critiche del Ministro dell’ Economia Giulio Tremonti che, pochi giorni fa, ai primi di settembre, in occasione del G20 finanziario di Londra, ha dichiarato che le banche devono essere al servizio dei cittadini e non il contrario; oggi le banche sono al servizio degli azionisti, dovranno essere al servizio dei cittadini perché rivestono una funzione pubblica, non una industria qualunque, che fa scarpe o vasche da bagno.