“Per produrre acqua calda e vapore devo spendere energia, e quindi denaro. Con un impianto cogenerativo invece posso ottenere le stesse quantità di acqua calda e vapore che mi occorrono sfruttando il calore di scarico dell’impianto che produce energia elettrica”. A parlare è l’Ing. Antonio Calabrò, ricercatore dell’ENEA nel campo dell’impiantistica energetica, che illustra i vantaggi e lo stato di avanzamento di questa tecnologia.
-Ing. Calabrò, come funziona un impianto di cogenerazione?
Partiamo dal concetto che la produzione di elettricità con combustibili fossili implica, qualsiasi sia la tecnologia impiegata, la produzione contemporanea anche di una certa quantità di calore che deve essere dispersa nell’ambiente circostante.
La cogenerazione si può definire come il metodo con il quale si realizza il simultaneo utilizzo di elettricità e di parte di questo calore che in questo modo viene utilizzato e disperso in quantità molto minore nell’ambiente. Infatti, se si effettua il confronto tra la cogenerazione e la produzione e l’utilizzo separato delle due forme di energia, da una parte le centrali termoelettriche che producono energia elettrica e dall’altra le caldaie che producono calore sia per applicazioni civili (come il riscaldamento) sia per applicazione industriali (come il vapore), si vede che si possono raggiungere valori di risparmio energetico dell’ordine del 30%.
Basti pensare che mentre in un impianto di sola produzione di energia elettrica si disperde nell’ambiente circa il 50-60% dell’energia, nel caso di un impianto cogenerativo se ne getta solo circa il 16%, utilizzando l’84% dell’energia introdotta con il combustibile in modo utile.
-Da quando è iniziata la ricerca su questo tipo di impianti?
La cogenerazione industriale è ormai una realtà ben consolidata nel nostro Paese, con una grande tradizione nel mondo produttivo italiano fin dagli anni 70, favorita anche dalla crisi petrolifera.
La legge 29 maggio 1982, n. 308 sul contenimento dei consumi energetici, e le successive leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e 10 e il Provvedimento CIP 6/92 hanno dato alla cogenerazione un forte impulso.
Più difficoltà a diffondersi ha avuto invece la cogenerazione civile, in particolare il teleriscaldamento, anche a causa delle meno favorevoli condizioni climatiche rispetto agli altri paesi europei, soprattutto del Nord Europa; negli ultimi anni comunque la situazione sta gradualmente migliorando, soprattutto nel Nord e centro-Nord Italia.
-Quanta energia viene prodotta in Italia con gli impianti cogenerativi?
I dati del 2004 riportano che la percentuale dell’energia elettrica da impianti cogenerativi rispetto all’energia totale termo-elettrica è di circa il 15%, che è un valore ancora migliorabile. La liberalizzazione del mercato energetico ha facilitato notevolmente le condizioni di sviluppo di questo sistema, grazie alla possibilità che esso offre di vendere il surplus energetico che si crea nella produzione di energia. Quell’eccesso energetico si può immettere in rete traendone profitto e stimolando nel contempo la decentralizzazione dell’energia, con tutti i vantaggi che ne seguono a livello sia di risparmio energetico (minori dispersioni lungo la rete) sia di sicurezza, per esempio sulla circoscrizione del rischio black-out.
-A livello tecnico quali sono i sistemi cogenerativi più utilizzati?
Come detto la cogenerazione non implica l’utilizzo di nuove tecnologie di conversione energetica: può essere utilizzata una turbina a gas, una turbina a vapore oppure un motore alterativo o, infine, le celle a combustibile.
L’energia elettrica prodotta viene quindi utilizzata localmente e/o ceduta, tramite dispositivi d’interfaccia, alla rete di distribuzione.
Il calore prodotto invece, per esempio il calore di scarico del motore o della turbina viene utilizzato direttamente nei processi industriali, o indirettamente per la produzione di vapore o acqua calda. Nel caso di cogenerazione per usi civili, viene prodotta acqua calda per il riscaldamento di edifici in sostituzione del calore prodotto con impianti convenzionali.
Ognuna delle tipologie succitate rende disponibili le due forme d’energia prodotte in rapporti quantitativi diversi e, limitatamente all’energia termica, a differenti livelli qualitativi (vapore, gas di scarico, fluidi di raffreddamento). Ne consegue che non può esistere un’unica soluzione per tutte le possibili applicazioni e quindi la scelta della tipologia d’impianto più appropriata deve essere fatta caso per caso a seconda, sia delle caratteristiche dei fabbisogni energetici, sia del tipo di vettori termici utilizzati.
Facciamo qualche esempio. Una turbina a gas produce una certa quantità di energia elettrica e una certa quantità di fumi di combustione a temperature molto elevate (circa 500 C°), la cogenerazione permette di utilizzare quei fumi in una caldaia di recupero dove è possibile generare vapore oppure acqua surriscaldata tramite uno scambiatore. La taglia di questo tipo di impianti è molto variabile, e può riguardare una produzione di energia che parte da qualche centinaio di KW fino ad arrivare a molte centinaia di MW.
Proprio per la sua versatilità di utilizzo nei settori più diversi in relazione alle diverse necessità energetiche, questo tipo di cogenerazione è il più utilizzato.
Altro caso è l’impiego della cogenerazione con le turbine a vapore. In questo caso esistono due modi di rendere cogenerativo l’impianto: o prelevando direttamente il vapore nella quantità richiesta, oppure interrompendo l’espansione del vapore nella turbina a valore più alti di quelli tipici del caso di sola produzione elettrica, in modo da avere vapore a pressione e temperatura più elevate da sfruttare per la produzione di acqua calda o altri tipi di impieghi.
Altra macchina molto utilizzata nel campo della cogenerazione è il motore alternativo, adatta ad esigenze energetiche non elevate, da qualche centinaio di KW a pochi MW (anche se è sempre più frequente un loro utilizzo in parallelo per arrivare a generare livelli di energia più elevati). Questo sistema ha il vantaggio di avere un elevata efficienza elettrica indipendentemente dal carico, e può sfruttare il calore in due modi distinti: o sfruttando il calore dei gas di scarico del motore (ad un levello termico di circa 500 °C) oppure il calore dell’acqua di raffreddamento o dell’olio di lubrificazione del motore, ad un livello termico più basso (80-90 °C) .
Infine per quanto riguarda le celle a combustibile, sebbene molto promettenti tra i sistemi avanzati di produzione di energia, oggi trovano applicabilità nel campo della microgenerazione con utilizzo del calore a bassa temperatura (150-180°C).
-Quali sono i vantaggi sensibili dell’utilizzo di sistemi cogenerativi?
Primo fra tutti, il risparmio energetico: mediamente, come detto, il risparmio nell’utilizzo del combustibile, a parità di energia e termica prodotta rispetto al caso di produzione separata, è dell’ordine del 30%.
Naturalmente esiste il problema dei maggiori costi, ossia l’investimento fatto dalle aziende per rendere i propri impianti cogenerativi. Fino al regime di monopolio energetico, non essendoci la possibilità di vendere il surplus di energia elettrica in rete, lo sviluppo della cogenerazione era affidato agli incentivi statali che venivano erogati sulla base delle leggi sopra accennate. Oggi, con l’avvento del mercato libero, agli impianti di cogenerazione vengono riconosciuti i benefici previsti dalla legge 42/02 ed in particolare la priorità di dispacciamento dell’energia elettrica prodotta (ossia la possibilità di immettere in rete tutto il surplus prodotto) e l’esenzione dall’obbligo di immettere una quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (cui sono soggetti i produttori da fonti non rinnovabili con produzioni annue eccedenti i 100 GWh).
– Gli effetti positivi sull’impatto ambientale?
Oltre al risparmio di combustibile, vi sono da considerare ulteriori vantaggi, conseguenza più o meno diretta del risparmio energetico, quali per esempio: la riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti per il minor consumo di fonti primarie, i minori danni ambientali causati dalla più bassa quantità di calore scaricato nell’ambiente e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra.