Il 2 ottobre u.s. si è svolta al palazzo dei Congressi di Bologna la lezione dell’ architetto Michele De Lucchi sul rapporto tra architettura e storia. Ha introdotto il convegno Andrea Ligabue, membro del Consiglio Direttivo di Confindustria Ceramica con il coordinamento di Aldo Colonetti, filosofo, storico e teorico dell’ arte, del design e dell’ architettura, dal 1998 Direttore Scientifico del Gruppo IED (Istituto Europeo di design).
Abitare la Storia non è riferito alla semplice attività di restauro: si tratta di una questione più complessa, che investe una predisposizione, ma soprattutto un dilemma tipico della modernità: aggiungere o togliere? E se si sceglie la seconda opzione, la conseguenza è agire per sottrazione? Come avviene per esempio nella recitazione teatrale, piuttosto che cinematografica.
De Lucchi, architetto e designer, è da sempre attento alle tematiche della memoria, a partire dalla necessità di interpretare e tradurre il contemporaneo alla luce del tessuto urbano esistente; progetta musei, edifici civili, ma anche elementi di città e deve perciò rapportarsi alla presenza di edifici storici, con il loro carico di significati: sia funzionali sia, soprattutto, simbolici.
Dal nuovo progetto per il Castello Sforzesco di Milano, dalle centrali dell’ ENEL fino alla capitale della Georgia, De Lucchi pur non abbandonando mai completamente un rigore filologico, è in grado di introdurre nel tessuto compositivo e negli stessi linguaggi strutturali degli edifici, segni concreti di contemporaneità, sempre con un grande rispetto per le persone e gli abitanti. Che si estrinseca nell’ utilizzo e nella scelta dei materiali, ma anche in quello degli spazi e nella ricerca, sempre improntata al rigore, delle fonti di illuminazione sia naturale sia artificiale.
Prima di ogni progetto, infatti, c’ è il rispetto dell’ uomo, la considerazione della sua centralità nello spazio, che rende sempre problematica la scelta di costruire o meno, ovvero occupare spazi con nuove costruzioni o andare a posare il proprio lavoro su quanto già esistente, magari utilizzando aree lasciate libere, da precedenti urbanizzazioni. E non per uno spirito filologicamente orientato al passato, ma per la convinzione che sia possibile far convivere e dialogare passato e presente.
Abitare la storia, in sostanza, vuol dire guardare avanti, alla ricerca di noi stessi, senza nostalgie né fughe utopiche: conoscere il presente è la condizione perché un architetto possa impegnarsi a disegnare il futuro, rispettando se stesso e contemporaneamente tutti gli altri a cui sono destinate le sue opere. La storia è vicina a noi anche quando l’ ammiriamo in uno spazio museale. Lo sostiene Aldo Colonetti, curatore scientifico della Galleria Dell’ Architettura di Cersaie e profondo conoscitore dell’ opera di De Lucchi.
Abitare il mondo e abitare la storia, parafrasando Colonetti, non è altro che una forma di umanesimo progettuale, che si estrinseca nel rispetto delle attività e dei bisogni che contraddistinguono l’ uomo, che si traducono anche in opere dell’ ingegno, che troviamo nelle nostre case, nelle città e nei musei.
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