Senza significato i confronti tra valori di mercato e valori catastali degli immobili
Precisazione dell’ Ufficio Studi della Confedilizia
A proposito della pubblicazione ”Gli immobili in Italia. Distribuzione del patrimonio e dei redditi dei proprietari”, edita dall’ Agenzia del territorio e dal Dipartimento delle finanze, e di articoli di stampa al proposito, concernenti in particolare il problema del rapporto fra valori di mercato degli immobili e valori catastali degli stessi, l’ Ufficio Studi della Confedilizia precisa quanto segue.
1.In tema di fiscalità immobiliare, vi è una questione di fondo consistente nella scelta sul tipo di tassazione degli immobili, su base reddituale ovvero su base patrimoniale. Se – come è preferibile e come avviene generalmente negli altri Paesi – la scelta è quella di tassare i redditi, e non di colpire in via permanente (con effetto espropriativo) i valori, allora va abolito l’ abnorme sistema oggi esistente e va sostituito con un reale Catasto di redditi. Il Catasto in essere è un Catasto che censisce il valore degli immobili del biennio 1988-89. I valori riscontrati sul mercato vengono – ai fini della tassazione – ricondotti a (finti) redditi con l’ applicazione di tre (apodittici) coefficienti, validi per l’ Italia intera: 1, per le abitazioni; 2, per gli uffici; 3, per i negozi. Da notare, poi, che nel 1996 le rendite catastali urbane sono state per legge aumentate del 5%. Questo tipo di Catasto è stato giudicato illegittimo – su ricorso della Confedilizia – dal Tar Lazio e dal Consiglio di Stato, e – per aggirare le eccezioni di legittimità ritenute fondate – nel 1993 è stato dal Governo Amato ”legificato”: di qui, il ricorso della Confedilizia alla Corte Costituzionale che, nel ’94, soprassedette ad ogni dichiarazione di illegittimità rilevando ”la transitorietà della disciplina denunciata, superata dai nuovi criteri indicati dal legislatore, e cioè il valore di mercato insieme al valore locativo’‘.
2. Il confronto tra valore di mercato degli immobili e valore imponibile degli stessi ai fini fiscali risultante dai dati catastali, non è significativo se solo si considera che le aliquote minime e massime del principale tributo gravante sugli immobili, l’ Ici, sono state stabilite proprio in funzione dei valori catastali esistenti, che erano e sono ancora fondati – come detto – su rilevazioni relative al biennio 1988 / 89. Se i valori catastali venissero elevati, è evidente che il livello di tassazione che ne deriverebbe sarebbe abnorme.
3. Il confronto, poi, tra canoni di locazione e rendite catastali – per quel che può valere a fini fiscali – non ha anch’ esso valore alcuno per una serie di motivi concorrenti e pur separatamente validi: anzitutto, perché anche in questo caso il riferimento dovrebbe essere ai canoni del biennio 1988-89 e poi – e comunque – perché la rendita non è diretta espressione dei canoni, ma deve – per semplice equità, e come tutti sanno – essere calcolata tenendo conto di una serie di fattori (spese, imprevisti, assicurazione ecc.) che sono espressamente previsti dalla normativa catastale.
4. Ai fini dei confronti fra valori di mercato e valori catastali, si fa riferimento – per i primi – ai dati dell’ Osservatorio sul mercato immobiliare (OMI) dell’ Agenzia del territorio, per i quali viene negata alle rappresentanze di categoria la possibilità di effettuare – analogamente a quanto viene fatto con gli studi di settore – la relativa validazione, assumendo che gli stessi non abbiano rilevanza fiscale, mentre la loro valenza fiscale è testimoniata proprio dai continui confronti operati dall’ Agenzia del territorio, anche in sede contenziosa. Senza considerare che prima che l’ Europa censurasse le disposizioni italiane in tema di accertamento fiscale sulle compravendite immobiliari sulla base del ”valore normale” degli immobili, l’ Agenzia delle entrate aveva stabilito che tale valore fosse desunto proprio dai dati dell’ Osservatorio.
Questo (insuperabile) discorso vale, ovviamente e forse ancora a maggior ragione, per i canoni di locazione resi pubblici dall’ Agenzia, che non risultano peraltro rilevati sul territorio, sibbene solo determinati con elaborazioni. Non a caso, l’ esigenza di una validazione anche di questi dati è già stata sollevata in sede parlamentare.