Nonostante la fibra sia forte, il sistema Italia continua ad essere troppo esposto ai venti finanziari.
In un contesto già evidentemente deteriorato, si è abbattuta sull’Italia una nuova tempesta finanziaria, che ha avuto (e ancora sta avendo) nello spread tra titoli italiani e tedeschi il principale elemento rivelatore. Si tratta di un’attestazione della diffidenza con cui, soprattutto all’estero, vengono considerate le capacità di rimborso dell’ingente debito pubblico e di realizzazione di interventi strutturali di contenimento della spesa.
A ben guardare, si colgono chiaramente gli eccessi speculativi insiti nell’accelerazione negativa, principalmente riconducibile alla fragilità del quadro politico e alla mancanza di credibilità della classe dirigente.
L’analisi delle principali grandezze macroeconomiche restituisce, infatti, l’immagine di un Paese in difficoltà, ma non autorizza, in alcun modo, ad accostamenti a realtà ben più compromesse della nostra, come le dinamiche dei mercati paiono accreditare.
L’Italia è diventato il bersaglio ideale di un attacco rivolto alla moneta unica, la cui capacità di tenuta non è certo favorita dall’atteggiamento opportunistico che i principali partner europei hanno manifestato in questi mesi.
Il nostro Paese paga oggi il conto di ataviche insipienze, piuttosto che gli effetti di andamenti congiunturali che, come detto, non appaiono così negativi.
L’ottima performance delle esportazioni, la gestione forzosamente rigorosa del deficit e la solo modesta flessione dei consumi privati, seppure a scapito di una brusca flessione della propensione al risparmio e di una contestuale accelerazione di quella dell’indebitamento, restituiscono un quadro che non pare giustificare l’improvvisa diffidenza registrata negli ultimi mesi sui mercati finanziari.
Se l’evoluzione delle principali macro grandezze rappresenta un’importante leva anti panico, a destare preoccupazione deve essere, piuttosto, la crescente fragilità di famiglie e imprese, su cui inevitabilmente si riverbera la presa di distanza internazionale e il conseguente innalzamento degli spread.
Il costo sociale della capacità di tenuta dimostrata nella prolungata fase recessiva, in un contesto di crescente divaricazione della ricchezza, è stato ingente e la prospettiva che possa addirittura ampliarsi, in caso di prolungata instabilità dei mercati, appare drammatica.
Il brusco innalzamento del costo del funding da un parte, la strategia di autotutela per certi versi inevitabile posta in essere dagli istituti di credito, dall’altra, privano la domanda di un sostegno divenuto in molti casi imprescindibile.
Alla gestione accomodante dei crediti problematici, soprattutto di quelli garantiti da ipoteca, fa, infatti, riscontro l’ulteriore irrigidimento dei criteri allocativi.
All’autoselezione della domanda immobiliare, riconducibile al differimento delle scelte di investimento, si associa, dunque, la scelta di alleggerimento dell’esposizione bancaria verso il comparto che finisce, inevitabilmente, per penalizzare la liquidità del mercato e, con esso, delle garanzie su cui gli stessi istituti sono esposti.
Si rischia, così, l’entrata in un circolo vizioso recessivo per valori degli attivi e volumi di transazione, la cui durata potrebbe risultare tutt’altro che breve.
Se non vi sono dubbi che il costo di mutui debba essere commisurato all’onerosità della provvista e all’effettiva rischiosità, calcolata in base all’andamento delle erogazioni pregresse e delle prospettive economiche generali, è altrettanto evidente che una chiusura indiscriminata finisca per alimentare le prospettive negative che si vogliono scongiurare.
Si rileva una pressione ribassista sui valori residenziali,
ma ancora non così forte da far rimbalzare le transazioni.
Con il concretizzarsi del double dip, peraltro già segnalato nello scorso luglio, sembra essersi leggermente attenuata la capacità di tenuta dei prezzi dell’ultimo triennio.
Si tratta di un’entità ancora inadeguata, se posta in relazione alla contestuale flessione delle capacità reddituali e di indebitamento delle famiglie, nonché dell’attività transattiva, ma che tuttavia denota in maniera inequivocabile la pressione ribassista in atto.
È difficile ipotizzare quanto tempo occorra per l’approdo ad un livello di valori sostenibili da cui il mercato possa finalmente ripartire, ma è comunque possibile individuare alcuni elementi che possano accelerarla transizione, consentendo al fabbisogno compresso, rappresentato prevalentemente da giovani nuclei e da domanda di sostituzione, di accedere al mercato abitativo.
Le esigenze di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, l’atteso incremento delle procedure di recupero forzoso da parte delle banche a fronte di insolvenze (una volta appurata l’insostenibilità di perenni moratorie), nonché la progressiva attenuazione della rigidità dei valori da parte di chi si trova a gestire giacenze di nuova produzione, sono i principali fattori che possono favorire la chiusura dell’ingente divario tra disponibilità e aspettative.
Il persistere dell’odierno squilibrio ha inesorabili riflessi sull’attività transattiva, come risulta evidente dalle tendenze in atto. Lo scenario che ancora nel corso dell’estate pareva pessimistico ha trovato conferma nelle dinamiche reali.
Le 575.165 compravendite residenziali attese per fine anno rappresentano il livello più esiguo dal 1997, quando il livello di finanziarizzazione del mercato, misurato dalla diffusione dei mutui in rapporto al PIL, era decisamente più contenuto rispetto all’attuale (si è passati dal 3% al 19,7%).
Proprio il credito rappresenta, dunque, un elemento imprescindibile di supporto della domanda nella transizione verso un nuovo equilibrio. Se le condizioni di contesto e di opportunità impediscono di auspicare aperture indiscriminate, una selettività consapevole delle ricadute sistemiche di una prolungata recessione immobiliare deve costituire qualcosa di più di un legittimo auspicio.
III Rapporto Nomisma sul mercato immobiliare 2011
di 26 Novembre 20111
Carrie Barninger 18 Agosto 2013 il 06:07
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