Che il condominio si avviasse ad essere antistorico dal punto di vista urbanistico e sociale lo si era intuito da un pezzo: ma con la riforma in corso di approvazione da parte del Parlamento si peggiora di molto la situazione.
Infatti, se c’è un soggetto nella vita della città, da un lato restio a qualsiasi rinnovamento edilizio e urbano, e dall’altro fonte inesauribile di contenzioso, questo è il condominio. Sotto il profilo del recupero edilizio, è il turn-over abitativo che dà luogo alle opere manutentive e di adeguamento tecnologico, nonché agli obblighi di certificazione: senza turn-over, non si ha (quasi mai) riqualificazione.
Inoltre, il condominio rappresenta un freno alla sostituzione edilizia e ingessa – di riflesso – la città. La frammentazione della proprietà tipica dell’Italia rende impossibili in radice i programmi di demolizioni e ricostruzioni caratteristici, ad esempio, delle città tedesche.
La riforma ora in discussione alla Camera accentua questo fenomeno, limitando gli interventi di modifica della destinazione d’uso degli immobili e subordinandoli alla loro irrilevanza sul piano del godimento delle cose comuni. Questo, però, significa andare contro la tendenza oggi in atto, da parte dei pianificatori comunali, di assecondare al massimo grado la funzionalità dell’immobile in rapporto alle esigenze espresse dal dinamismo della città: il caso del piano di governo del territorio (Pgt) di Milano è emblematico.
Ammettere poi un’azione autonoma dei conduttori a presidio delle destinazioni d’uso è una forzatura. Sotto il profilo della litigiosità del condominio, il disegno di legge in esame alla Camera pare entrare in modo significativo nella sfera privata dei singoli condòmini.
Dietro la motivazione della sicurezza e della questione energetica, il testo prevede tutta una serie di interferenze da parte dei condòmini, dell’amministratore e dei conduttori, nella casa altrui.
Sul piano procedurale, peraltro, ad ogni piè sospinto di fronte ai minimi intoppi, è previsto il ricorso al giudice. Per rendersene conto basta vedere con quanta frequenza ricorrano nel testo le parole «ricorso» e «magistratura». Questo proprio mentre la disciplina della mediazione ha fatto slittare di un anno l’obbligatorietà della conciliazione nel caso di controversie condominiali (che rappresentano, insieme ai sinistri stradali, il grosso del contenzioso civile).
Non è finita qui. Il testo attuale della riforma prevede – con una norma che si presta a più letture – che all’assemblea deliberante sulla gestione ordinaria possano partecipare i conduttori.
La norma è dettata per gli inquilini degli usufruttuari e già come tale non va bene perché usufrutto non significa uso dell’appartamento: ci sono palazzi in condominio con decine e decine di unità godute, in modo esclusivo o insieme al nudo proprietario, da un unico usufruttuario e l’assemblea dei conduttori esautorerebbe il titolare del diritto reale di godimento dalla amministrazione del bene. Addirittura alcuni interpreti sostengono possa valere per tutti gli inquilini; e ciò sarebbe ancor meno in linea con le esigenze della proprietà.
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Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 4 aprile 2011