Già all’inizio dello scorso anno, forse per un eccesso di ottimismo, si riteneva superata la fase recessiva del mercato immobiliare italiano e si è subito parlato di ripresa, pur con segnali ancora deboli ma interpretati nell’ambito di un progressivo miglioramento del contesto macroeconomico.
L’inversione di tendenza delle compravendite, l’attenuazione del calo dei prezzi e la positiva evoluzione del clima di fiducia degli operatori sono solo i principali fattori che inducevano a ritenere archiviata la fase recessiva. La timida ripresa della produzione e tassi di interesse decisamente esigui lasciavano intravedere un quadro economico più favorevole che avrebbe avuto riflessi positivi sul settore immobiliare. E tuttavia l’ipotesi di una pronta ripartenza non teneva in considerazione le profonde modifiche nel frattempo intervenute nella ripartizione del credito da parte delle banche, per ridurre la rischiosità degli impieghi e ripristinare un’adeguata solidità patrimoniale.
Per comprendere la rilevanza degli aspetti creditizi nell’evoluzione del mercato occorre, innanzitutto, riconoscere il ruolo che l’allentamento dei criteri di selezione e il conseguente aumento delle disponibilità economiche hanno avuto nel ”gonfiare” livelli di attività e quotazioni nella fase ascendente del ciclo immobiliare.
L’infondata convinzione che la finanziarizzazione del contesto avrebbe garantito la sostenibilità di prezzi altrimenti inaccessibili, associata all’incapacità di definire in maniera congrua il corrispettivo per il rischio di controparte e settore sia a livello corporate che a livello retail, ha inevitabilmente comportato un innalzamento del grado di dipendenza del settore rispetto al sistema bancario.
La maggiore selettività causata dalla crisi finanziaria pregiudica, di fatto, le prospettive di una pronta ripresa, riducendo la disponibilità di un sostegno divenuto per molti essenziale. Alla debolezza economica della domanda si aggiunge la lentezza con cui i prezzi del comparto residenziale tendono ad adeguarsi alle mutate condizioni di mercato. E alle abituali lentezze di adattamento riconducibili alla componente di utilizzo insita nell’investimento si aggiungono, per quanto riguarda il mercato immobiliare italiano, la durata e i costi del processo di recupero coattivo in caso di insolvenza del mutuatario.
L’inefficienza di tale processo induce le banche ad avere un atteggiamento di disponibilità nei confronti di famiglie e imprese in difficoltà (evitando per queste ultime l’immediato rispetto delle condizioni di loan to value in caso di flessione dei prezzi), all’insegna della formula ”extend and pretend”, piuttosto che avventurarsi in faticose dismissioni.
Il mancato arrivo sul mercato di molti immobili a garanzia di mutui entrati in sofferenza ha, senza dubbio, consentito di non accrescere ulteriormente la pressione ribassista sulle quotazioni. Le capacità negoziali del sistema bancario non paiono, tuttavia, illimitate, soprattutto nella prospettiva che il progressivo innalzamento dei tassi di interesse determini un ampliamento delle sofferenze.
Gli immobili a garanzia di crediti deteriorati da una parte e l’ingente mole di invenduto dall’altra, rappresentano un ostacolo al momento insormontabile sulla via della ripresa. In assenza di una repentina correzione al ribasso dei prezzi (specie delle localizzazioni secondarie) e di un allentamento dei criteri di concessione del credito è, infatti, impossibile ipotizzare che l’offerta attuale e prospettica trovi riscontro nelle autonome capacità di assorbimento della domanda. La lunga fase espansiva recente ha interessato in maniera pressoché omogenea l’intero mercato immobiliare italiano, evidenziando una difformità sostanziale rispetto al ciclo precedente.
Non si è trattato di un fenomeno solo italiano, a conferma del ruolo che il mutamento del contesto finanziario ha avuto nell’orientamento delle dinamiche immobiliari su scala continentale. L’apprezzamento pressoché analogo in termini percentuali di prime locations e mercati periferici ha portato i valori di questi ultimi a discostarsi in maniera eccessiva rispetto ai livelli di incidenza dell’area di lungo periodo.
Non deve sorprendere, dunque, che proprio in corrispondenza delle localizzazioni secondarie negli ultimi anni si sia registrato un autentico tracollo delle compravendite e non si rilevino tuttora segnali di ripresa, a differenza di quanto accade nei mercati urbani del Centro-Nord, dove peraltro la capacità di tenuta è risultata di gran lunga superiore, anche in virtù dell’apporto tutt’altro che trascurabile garantito dalla componente di investimento.
Se la correzione al ribasso dei prezzi registrata nei contesti urbani, per quanto modesta rispetto alle nuove condizioni di mercato venutesi a creare, ha senza dubbio avuto un ruolo nell’arginare l’arretramento dei livelli di attività, la perdurante rigidità delle quotazioni nei mercati minori, per contro, pregiudica tuttora qualsiasi possibilità di ripresa.
Al di là delle differenze territoriali, è evidente si ponga un problema di generale sostenibilità degli attuali valori di mercato. Un’attenta analisi delle disponibilità reddituali delle famiglie e dell’onerosità e accessibilità del mercato creditizio, in relazione ai prezzi delle abitazioni, restituisce un’immagine tutt’altro che tranquillizzante. L’idea secondo cui gli irrisori tassi di interesse comportino necessariamente una maggiore facilità di accesso al credito rischia di rivelarsi fuorviante, se non verificata alla luce delle effettive politiche di allocazione del sistema bancario.
L’attenzione che, in questa fase, soprattutto i grandi gruppi dedicano a preservare lo stock di mutui in essere ed, eventualmente, a contendere le posizioni dei competitor, rivela il minore interesse per il mercato dei flussi (anche a causa dell’impossibilità di un corretto pricing in funzione del rischio), con inevitabili ricadute negative sul numero di transazioni immobiliari.
La ponderazione delle diverse componenti spinge a propendere per l’inaccessibilità del mercato alle attuali condizioni per una notevole quota della domanda potenziale. Un arretramento dei prezzi, soprattutto nelle localizzazioni secondarie, associato ad una politica creditizia meno selettiva nei confronti delle nuove operazioni, continuano a sembrare condizioni imprescindibili per un’effettiva ripartenza del mercato.