Per i Comuni va bene un federalismo mascherato (e, soprattutto, non competitivo)
Per anni, il ritornello è stato questo: in tutto il mondo agli enti locali è assegnato un tributo locale sugli immobili perché sono questi enti che apprestano i servizi ad essi relativi
Per anni abbiamo contestato, in tutti i modi ma sempre inutilmente, questo semplicistico ritornello, ricordando la variegata realtà – ove è stato istituito – del tributo immobiliare (rapportato alla spesa per l’istruzione fornita localmente negli Stati Uniti, collegato alla fruizione del servizio abitativo in Francia e così via). Nel ’94, Tremonti previde dal canto suo, nel famoso “Libro bianco”, un Tributo locale immobiliare (TLI) ripartito fra proprietario e utilizzatore, secondo criteri stabiliti dai Comuni. Nella legge delega, poi, del 2003 per la riforma fiscale (lasciata, com’è noto, senza seguito) di tributo locale non si parlava.
Ora, il federalismo municipale. Che (reclamato a gran voce dalla Lega, e pressoché unanimente accettato se concepito come competitivo fra enti locali) è stato però impostato essenzialmente sugli immobili (ed a carico esclusivamente della proprietà, secondo la linea che la Lega aveva appoggiato per l’Ici), e cioè sul cespite che – come il suo stesso nome fa chiaro – meno di ogni altro consente la realizzazione del principio base di un federalismo che voglia contenere la spesa pubblica attraverso la concorrenza, il principio base che i cittadini si possano spostare da un territorio all’altro scegliendo ove si forniscano migliori servizi a minori imposte.
In più, si è vieppiù andati – pur, come si dice in gergo, di “portarlo a casa”, in fretta e furia – verso un federalismo “contrattato” con la lobby dei Comuni (lobby che ha il gioco facile: di Comuni ce ne sono infatti di tutti i colori politici indistintamente), nel quale ogni spiraglio di competitività è stato prontamente demonizzato (ed accuratamente evitato), così che esso si avvicina oggi più ad un provvedimento di regolamentazione dei trasferimenti centrali che altro.
Il tributo locale immobiliare (l’Imu) è poi stato concepito come tributo – per la parte più di ogni altra consistente del suo gettito – a carico delle seconde case, col risultato – come ha efficacemente rilevato anche la Corte dei conti – di porre il finanziamento dei servizi comunali a carico dei non residenti (così andando nel senso direttamente opposto a quello che avrebbe dovuto ispirare un coerente federalismo, e – soprattutto – ottenendo l’effetto conclusivo di tagliare quel legame tra soggetti passivi del tributo immobiliare e servizi forniti, che dai sostenitori del tributo stesso era portato a unica giustificazione di un’imposizione fiscale di questo tipo).
A questo punto, ottenuto dagli enti locali un federalismo assolutamente non competitivo (e che, quindi, non realizzerà mai – anzi… – il contenimento della spesa pubblica, essendo allo scopo del tutto inadeguato il sistema dei costi standard, comunque sempre legato a criteri e volere della classe politica), è del tutto logico che i Comuni abbiano chiesto lo sblocco dell‘addizionale Irpef: viene pagata, appunto, come addizionale di un’imposta statale e la gran parte dei contribuenti non s’accorge che a metterla è il Comune (del resto, chi sa che le Province applicano un proprio tributo – quello cd. Ambientale. – che viene riscosso come percentuale della Tarsu?).
Insomma. Il federalismo fiscale è stato contrattato solo con i tassatori, e i tassatori l’hanno avuta vinta. Parte consistente delle loro entrate (forse, la più consistente) deriverà, da un lato dalle addizionali (per le quali i contribuenti fanno riferimento allo Stato, come detto) e dall’altro dalla tassazione delle seconde case (la pagheranno, quindi, essenzialmente i non residenti, quelli che non votano: e con loro i sindaci sono coraggiosissimi nell’alzare il livello di imposizione, come hanno fatto – in certi casi in modo bestialmente alto – con l’Ici, alla faccia del noto principio della Rivoluzione americana).
Avremo quindi un federalismo non solo non competitivo (che era la caratteristica che lo giustificava), ma anche mascherato. I Comuni sono riusciti nel loro intento, di essere giudicati per le spese (che continueranno a fare, sprechi alla grande compresi) e non per le tasse (non fisseranno loro – figurarsi… – neppure l’aliquota nazionale dell’Imu). La prospettiva non è bella, salvo correttivi.
Corrado Sforza Fogliani
presidente Confedilizia