L’architettura nell’era dell’edilizia ”socievole”
Dalle ”case popolari” al co-housing, la domanda di abitazioni sociali si è evoluta enormemente – mercoledì 29 settembre ore 9.30 e ore 11.30 – fino a mettere in discussione lo stesso concetto di spazi privati e pubblici. Al Cersaie due incontri con la partecipazione di sociologi e professionisti dell’abitare di fama internazionale
L’edilizia sociale nel nostro Paese ha una storia antica: già nel lontano 1904 una legge dello Stato ne definiva le premesse logiche e metodologiche. La casa è un diritto, ed è compito della società operare affinché l’abitazione diventi accessibile anche a fasce di popolazione che, per i motivi più diversi, risultano emarginate.
Se si potesse riassumere un secolo e più di storia con poche parole, si potrebbe affermare come l’edilizia sociale si sia progressivamente trasformata, sotto ogni punto di vista, in edilizia socievole. Il punto – riassunto perfettamente dall’espressione inglese ”social housing” – oggi non è tanto, o solo, offrire una casa a chi non se la può permettere, ma rispondere in modo diversificato a una domanda espressa dalla società a tutti i livelli – non solo dagli strati svantaggiati – e che si lega in modo inestricabile alle più generali trasformazioni che hanno coinvolto gli stili di vita e, per analogia, gli spazi urbani.
Se ne parla al Cersaie in due distinti incontri, che si terranno nell’ambito del ciclo ”Costruire, abitare, pensare”. Il primo, ”Spazi urbani e migrazioni” – che avrà luogo mercoledì 29 settembre alle 9.30 alla Galleria dell’Architettura – vedrà gli interventi di Claudio Baraldi, preside della facoltà di Lettere e filosofia all’Università di Modena. La parola quindi a Michael Keith, ordinario di sociologia all’Università di Oxford e direttore di Compas (Centre of Migration, Policy and Society). Infine Vittorio Iervese, che insegna Sociologia dei processi culturali e Teoria e metodi della promozione culturale all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Interi quartieri che cambiano volto, nuovi cittadini che – lo si voglia o no – entrano a far parte del tessuto urbano, conferendo ad esso un’impronta nuova e indelebile. Nuovi edifici e quartieri, dunque, mentre le vecchie case, spesso gli stessi centri storici, si trasformano di pari passo con gli stili di vita degli abitanti. Mutevole per definizione, la città non è poi un mero insieme di abitazioni, ma anche il luogo dove si trovano gli spazi comuni, gli spazi di socialità, altra colonna portante del moderno concetto di social housing.
Peccato dover far ricorso a un altro termine inglese, ma vale la pena ricordare come il social housing abbia trovato una delle migliori realizzazioni nel concetto di co-housing, vera nuova frontiera dell‘edilizia abitativa, dove anche il dogma di luogo privato in quanto distinto dal luogo pubblico, di sfera privata quale contrapposta alla sfera pubblica – riprendendo la celebre metafora di habermasiana memoria – diventa più sfumato e, in ultima istanza, obsoleto.
Spazi e servizi collettivi, insomma: non solo portici o cortili, ma vere e proprie porzioni di edificio che diventano il fulcro della casa dei cohousers, dai locali di servizio a quelli per le feste o in cui dedicarsi agli hobby, dalla sala giochi dei bambini alle camere da letto per gli ospiti, addirittura la cucina. Pionieri, da questo punto di vista, di nuove modalità di vivere l’abitazione, di intendere il concetto stesso di famiglia, i nordeuropei hanno all’attivo esperienze eccellenti in questo senso, che comportano importanti ricadute anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale e, parallelamente, dei possibili vantaggi economici.
Ma a dire la verità quando si parla di social housing – ed eventualmente di co-housing che ne rappresenta una felice declinazione – si scontrano spesso due visioni del mondo, due modi di intendere gli spazi abitativi e gli stessi spazi urbani. Un dibattito stimolante e di altissimo livello che sarà oggetto dell’incontro ”Social housing: micro e macro” che si terrà nella stessa giornata del 29 settembre alle 11, dopo l’incontro dedicato a spazi urbani e migrazioni.
Faccia a faccia, in questo caso, tra l’approccio high density dello studio olandese Mvrdv – rappresentato dall’architetto Natalie De Vries – e quello dell’italiano Cino Zucchi, che predilige un’idea di abitare basata sulla densità medio-bassa. A fare da moderatore, offrendo un ulteriore contributo alla discussione, il professor Fulvio Irace, architetto e docente al Polidesign, il Consorzio del Politecnico di Milano nato proprio con l’obiettivo di fornire risposte innovative in termini di progetti e proposte in un contesto tecnologico, produttivo e professionale in continua evoluzione.
Talmente in evoluzione che risulta difficile prendere le parti, a priori, per un determinato modello. Sullo sfondo, resta però una certezza: in un mondo in cui le nostre case saranno qualche cosa di diverso dal passato, in un mondo in cui, ad esempio, chi viaggia per lavoro, per turismo, chi vive un’esperienza di studio ma anche chi vuole farsi una famiglia, potrà disporre di nuove case socievoli, ci sarà sempre più bisogno di architettura, di professionisti dell’abitare disposti a misurarsi con queste nuove esigenze e offrendo di conseguenza risposte concrete e all’altezza delle aspettative.
Per ulteriori informazioni
Dr. Andrea Serri
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