Speciale Aspesi. Ripresa del settore immobiliare-costruttivo.
Crescita dell’ occupazione e integrazione sociale. Il caso italiano
Una ricerca a cura del Centro Studi Immobiliari Aspesi con AB RESEARC
Intervento del Presidente Nazionale Aspesi Avv. Federico Filippo Oriana nel corso di un convegno nell’ ambito dell’ Eire
Dall’ indagine condotta dai Professori Ricciardi, Boari e Bartollino sono emersi dati importantissimi sulla realtà del settore immobiliare – costruttivo. Che è l’ attività più anticongiunturale esistente, ad esempio, o che è il settore con la maggiore capacità di assorbimento di manodopera.
Infatti, a partire dal 1996, considerando i 14 periodi sino al 2009, l’ occupazione del settore è salita del 39,9% contro il 16,5% dell’ occupazione generale, ad un ritmo medio del 2,6% annuo contro l’ 1,1% della crescita generale. Così facendo ha registrato un picco di quasi 2 milioni di occupati diretti pari all’ 8% dell’ occupazione totale italiana, ritornando ai valori del 1971.
Solo con la gravissima crisi in corso l’ occupazione immobiliare – edilizia ha iniziato a scendere, ma in misura molto minore rispetto a quella dell’ occupazione totale. Il motivo di questo fenomeno è il boom del mercato immobiliare intervenuto proprio all’ interno di quei 14 anni che ha trainato l’ edilizia. Come rappresentante specifico dell’ immobiliare – un settore tanto bistrattato dalla politica e dall’ opinione pubblica – lo rilevo con malcelata soddisfazione!
E il Prof. Ricciardi ci sottolinea che si tratta in larga misura di nuova occupazione perché su quella totale incide fortemente la P.A. Che notoriamente non licenzia e, comunque, è difficile che gli impiegati si mettano a lavorare nei cantieri e anche i lavoratori dell’ industria sono difficilmente convertibili all’ edilizia.
Altre caratteristiche che il Prof. Ricciardi ci segnala e che mi paiono particolarmente degne di nota sono che si tratta di occupazione qualificata, poiché il lavoro edilizio, anche quello di base, non si improvvisa e necessita sempre di un certo expertise. Mentre abbondano le fasce alte di qualificazione tecnica e culturale, con elevata propensione ad operare in partnership e disponibilità al rischio.
Si pensi che, secondo i dati del Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, il 90% degli ingegneri che svolge la libera professione lo fa nel nostro settore e 8 euro su 10 delle loro entrate viene dal privato, cioè dall’ immobiliare. Inoltre, si tratta di occupazione che si forma qui, in Italia, perché si opera laddove è ubicato l’ immobile su cui si interviene: quindi occupazione diretta e interna, non delocalizzabile in paesi del terzo mondo come la produzione di magliette.
Al contrario un settore che evidenzia un tasso di lavoratori stranieri regolari del 13,3% contro l’ 8,3% dei servizi e il 7,8% dell’ industria, quindi con un effetto di integrazione sociale degli immigrati non trascurabile, anche perché se gli immigrati lavorano non delinquono e viceversa.
E con un tasso di lavoro regolare del 92,3%, simile a quello dell’ industria (95,9%), decisamente superiore a quello dei servizi (tra l’84,9% e l’ 89,2%) e incomparabile con quello dell’ agricoltura (63,1%), a sfatare il pregiudizio del ”lavoro nero” nell’ edilizia. Nella produzione immobiliare il fattore umano per unità di prodotto gioca per il 17,1%, contro il 15,7% del commercio e il 14,7% dell’ industria manifatturiera e un valore tra l’ 8,0% e il 9,6% dell’ industria di base: è, quindi, l’ attività produttiva a più forte incidenza del lavoro umano.
Il Prof. Ricciardi è, poi, passato ad analizzare un altro profilo essenziale: quello della nascita e della mortalità di nuove imprese. Ebbene nel 2007 su 400.000 nuove unità iscritte al Registro Imprese ben 75.000 erano del settore immobiliare – costruttivo (pari al 18,75%) contro, ad esempio, alle sole 50.000 del commercio.
Per offrire un termine di paragone, nel 1997 il totale delle nuove iscrizioni fu di 1.200.000 unità e solo 45.000 furono del nostro settore con una percentuale del 3,75 %, pari a un quinto di 10 anni dopo: un chiaro effetto, anche in questo caso, del boom del mercato immobiliare! Che, ahimè, è però nel frattempo crollato con una diminuzione del 30% delle compravendite abitative. Il meccanismo virtuoso, sul quale ci siamo tanto diffusi, è a questo punto purtroppo interrotto. Nel 2009 si è determinata una inversione del trend.
Il Prof. Boari, infatti, ci indica nel suo lavoro che il fattore moltiplicatore sul PIL della variazione degli investimenti in Costruzioni gioca anche alla rovescia: ossia, mentre non c’ è evidenza che una diminuzione (così come un aumento) di PIL induca una diminuzione (o un aumento) delle costruzioni, è provato che una diminuzione (o un aumento) delle costruzioni induce una decrescita (o un aumento) del PIL.
Con una differenza sostanziale e, purtroppo, negativa: l’ effetto moltiplicatore negativo è immediato e non ritardato da un lag di 6 trimestri come era per l’ effetto moltiplicatore positivo evidenziato nella prima parte della ricerca presentata all’ EIRE nel 2009. Questo per evidenti ragioni di capacità previsive degli imprenditori immobiliari ed edilizi: se non è più fattibile/conveniente, l’ operazione immobiliare – costruttiva viene abbandonata subito, non in futuro.
E così nel 2009 la contrazione del nostro settore ha indotto una perdita supplementare di PIL, rispetto alla crisi generale, di circa 10 miliardi di euro, pari allo 0,66% circa dell’ intero PIL italiano. Con la perdita di circa 137.000 lavoratori diretti e di 200.000 con l’ indotto, ossia molto ma molto di più del problema dello stabilimento di Termini Imprese, ma con una visibilità mediatica immensamente inferiore a causa della polverizzazione di un settore in cui le imprese di costruzione hanno una media di 3,2 addetti ad unità e le società immobiliari di 1,6. Anche se 200.000 famiglie del mattone dovrebbero valere come 200.000 famiglie dell’ industria.
L’ attività che avrebbe potuto essere la misura più efficace e immediata per contrastare la crisi, sia sul piano reddituale che occupazionale, invece la aggrava sensibilmente. E questo per gli errori della politica che a partire dal DL 223 cd. Visco – Bersani hanno coscientemente colpito il nostro settore per incultura economica, pregiudizio ideologico e ingordigia fiscale nei confronti di quello che è e rimane il primo contribuente aggregato del Paese.
E l’ anno in corso, il 2010, non si presenta molto meglio. Sempre per effetto del calo delle costruzioni che – in entrambi i modelli – raggiunge il suo apice nel secondo (-1.500 milioni) e nel terzo trimestre 2010 (-1.700 / -1800 milioni), si determinerà una situazione che nel caso migliore porterà ad un livello medio di crescita del PIL più che dimezzata rispetto alla serie storica (1.100 milioni a trimestre contro 2.700) e, nel caso peggiore, addirittura ad una discesa media del PIL di circa 3.500 milioni di euro a trimestre.
Poiché, l’ analisi del Prof. Boari ha rilevato che la crisi delle costruzioni non è indotta da quella generale ma da fattori propri e specifici (nell’ esperienza di questo durissimo biennio: stretta creditizia, fiscalità, fattori psicologici dei clienti), non si può pensare che una eventuale ripresa nel 2011 sia di per sé idonea a risollevare il settore. Occorre, invece, agire laddove si può intervenire – credit crunch e fiscalità – e occorre farlo subito: abbiamo solo 6 mesi per ”svoltare”, se no anche il 2011 sarà pregiudicato.
Il Prof. Boari evidenzia, infatti, due possibili scenari per il 2011 in assenza di interventi pubblici correttivi: il migliore, fondato sulla capacità di adattamento degli operatori immobiliari, a crescita più che dimezzata rispetto al passato; il peggiore con ulteriori 6.500 milioni di euro di perdita di PIL in soli 6 mesi indotta dalla ridotta attività edilizia!
Attenzione, si tratta di numeri insostenibili per la società italiana, soprattutto nel caso peggiore: 10, 2 miliardi di perdita nel 2009, 13,2 nel 2010 e 13 circa nel 2011! Oltre 36 miliardi di euro di perdita di PIL in 3 anni che condizionerebbero – anche per la mancanza di alternative in altri settori la stessa posizione internazionale del Paese.
La potenzialità delle costruzioni di fungere da ”cuscinetto” sociale sarebbe, invece, ancora più importante in questa fase economica particolarissima in cui la crisi da astratto quadro di indici e di titoli di giornali si sta catapultando con virulenza sulle famiglie italiane ed europee: forse si potrebbe dire che invece di finire stia, in realtà, iniziando solo ora.
Per la prima volta dal dopoguerra nel 2009 è sceso il numero delle imprese artigiane che hanno offerto un saldo negativo tra natalità e cancellazioni di 15.914 unità pari a -1,06%: nei tempi di crisi era sempre successo il contrario. Le imprese artigiane di tutti i comparti: manifatturiero, costruzioni, logistica, trasporti, commercio (riparazioni e manutenzioni).
Quindi non una crisi di settore ma dimensionale: la crisi penalizza il fai – da – te, l’ improvvisazione, il sottoscala e, infatti, l’ unico segmento tipologico che aumenta nelle iscrizioni al Registro Imprese per i dati Unioncamere è quello delle società di capitale. Ma il fenomeno in questo momento suscita interrogativi preoccupanti sul versante dell’ occupazione: se non esiste più la possibilità di ”mettersi in proprio”, il commercio al dettaglio declina vertiginosamente, la Pubblica Amministrazione post – Grecia ovviamente non assume e le industrie medie e grandi licenziano perché devono razionalizzare i costi a fronte della diminuzione dei ricavi, cosa faranno i giovani e i licenziati? e i neolaureati? tutti i liberi professionisti? quando in città metropolitane come Genova o Torino, non volendo parlare sempre del Mezzogiorno, se si sommano gli avvocati, i commercialisti e gli iscritti agli altri Albi professionali si fa quasi la metà della popolazione!
Io credo che l’ immobiliare, per le fasce alte di professionalità, e l’ edilizia, per le fasce operaie, sarebbero la risposta giusta. Ma urgentemente, molto urgentemente, lo Stato deve mettere in campo politiche per il nostro settore atte a contrastare la ”Dummy” che il Prof. Boari ci ha dimostrato non potersi risolvere con le sole forze del mercato perché così facendo il risultato sarebbe solo – nella migliore delle ipotesi – una crescita dimezzata nel 2011.
Di qui la mia proposta di un Piano Casa 3, radicalmente diverso dalle precedenti edizioni che, diciamocelo francamente e senza mancare di ribadire un apprezzamento per la sensibilità del Governo per l’ edilizia, non ha prodotto nulla. Un Piano Casa indirizzato questa volta all’ immobiliare, cioè all’ edilizia privata, e fondato su razionalizzazioni fiscali e finanziarie.
Praticamente a costo zero per le casse pubbliche perché le semplificazioni tributarie e le riduzioni di aliquote sarebbero compensate in breve tempo dall’ aumento del lavoro e, quindi, dalla ripresa del gettito del settore, attualmente falcidiato dal blocco delle attività. Oltre che strutturate tutte – con i loro automatismi – in modo da contrastare realmente l’ evasione fiscale.
Indico a titolo esemplificativo le 8 proposte più urgenti e, a mio giudizio, di immediata efficacia:
• Ritorno all’ IVA come imposta generale sulla vendita del nuovo o ristrutturato da parte di società e imprese.
• Imposta di registro agevolata all’ 1% per gli acquisti di immobili da trasformare e rivendere entro 3 – 4 anni (indipendentemente dalla tipologia di immobili e dalle caratteristiche del venditore).
• Eliminazione della parziale indeducibilità degli interessi passivi per tutte le società e imprese di costruzione (a causa della attuale illiquidità del comparto) o, almeno, fissazione di un tetto massimo di tassazione globale (50%? 60% 70%, un tetto…) perché con il gioco di IRAP e indeducibilità parziale IRES oggi si può pagare anche oltre il 200%.
• Deducibilità dai redditi di tutta l’ IVA (acquisto – notaio – agenzia) corrisposta per l’ acquisto della prima casa da costruttore a compensare la maggiore aliquota (4% contro 3%) e la non applicazione del prezzo valore previsto invece per gli acquisti da privato, favorendo così l’ immobile nuovo (con il suo contenuto di lavoro e di qualità ambientale) e contrastando l’ evasione fiscale.
• IVA al 10% a titolo definitivo su tutti i lavori edilizi.
• Cedolare secca – per le persone fisiche e per le persone giuridiche in opzione – sui redditi da locazione, per favorire gli acquisti di immobili nuovi da parte di privati investitori e contrastare l’ evasione fiscale nel settore delle locazioni.
• la messa in campo da parte dello Stato di un meccanismo di finanziamenti (si badi bene, non di contributi) alle banche sostanzialmente pari nell’ ammontare, nella durata e nelle condizioni alla quantità di mutui ipotecari prima casa da queste erogate alla clientela finale, ad esempio, nel trimestre precedente.
Insomma, dei Tremontibonds per i mutui prima casa. In questo modo le banche riprenderebbero ad erogare i mutui prima casa, lo Stato non ci rimetterebbe un euro perché attualmente paga il denaro (con l’ emissione dei titoli di Stato) meno dell’ 1% (e quindi molto meno del tasso che praticherebbe alle banche), le persone – lavoratori dipendenti ed autonomi, giovani al primo lavoro – avrebbero di nuovo la possibilità di acquistare la propria casa (possibilità oggi riservata ai ”ricchi” – ed è paradossale perché sono quelli che ne hanno meno bisogno – per la difficoltà della gente normale di ottenere il mutuo), noi operatori di fronte al ritorno della clientela potremmo ricominciare ad investire e a lavorare, l’ economia nazionale e l’ occupazione – come i nostri studi hanno evidenziato – ne beneficerebbero in breve tempo.
Da ultimo, lo Stato avrebbe un vantaggio di accrescimento delle entrate tributarie dai nuovi alloggi che vanno sul mercato (non va mai dimenticato che il nostro settore è il primo contribuente italiano per la congerie esistente di imposte dirette e indirette sulla produzione, circolazione e gestione degli immobili) e un risparmio in termini di ”piano casa’‘, ossia di alloggi da costruire a spese del contribuente per far fronte all’ emergenza abitativa.
Con queste semplici e poco costose misure si realizzerebbe un Piano Casa fondato sull’ azione dei privati, con una spinta alla ripresa di quella quota pesante di investimenti in edilizia perduta negli ultimi 3 anni (il 19% in generale e il 30% nell’ edilizia abitativa) e, usciti dalla crisi generale, ad andare oltre. Un Piano Casa liberale e non pubblicistico. Quindi, io credo, finalmente destinato al successo.