Secondo le stime dell’ Anammi, il disegno di riforma all’ esame del Senato provocherebbe un aumento delle spese a carico dei condòmini.
Costi in aumento per i condòmini e minore flessibilità sui pagamenti. Secondo le stime dell’ Anammi, l’ Associazione Nazional – europea degli AMMinistratori d’ Immobili, sarebbero queste le immediate conseguenze della riforma del condominio in esame al Senato.
“Il testo di legge in discussione – spiega Giuseppe Bica, presidente dell’ Associazione – prevede che, per ogni condominio, l’ amministratore dovrà richiedere un’ apposita fideiussione, da calcolarsi sulla base del bilancio condominiale“. In pratica, il professionista condominiale, per lavorare, sarà obbligato a fornire una garanzia, assicurativa o bancaria, “non inferiore agli oneri prevedibili della gestione annuale” per l’ immobile amministrato.
Una cifra notevole, visto che il bilancio preventivo di un condominio, in media, si aggira tra i 50mila e gli 80mila euro. Tale somma dovrà poi essere garantita tramite beni personali ed il pagamento di un premio annuale che, secondo i calcoli dell’ Anammi basati sugli importi correnti delle fideiussioni, potrebbe attestarsi sui 1000 – 1500 euro.
“Si tratta di un costo pesante per il professionista – osserva il presidente Bica – che, giocoforza, finirà col ricadere tutto sul condominio. Non è infatti possibile ridistribuire le spese, perché la fideiussione riguarda ogni singola struttura condominiale. A potersi permettere questo genere di garanzia, insomma, saranno in pochi, soprattutto grandi studi professionali in grado di contrattare con gli istituti creditizi e assicurativi”.
Il che comporterà un’ altra nefasta conseguenza. “Con un mercato ristretto ad un numero esiguo di professionisti – afferma il leader dell’ Anammi – il compenso dell’ amministratore, finora deciso dal libero mercato, schizzerà verso l’ alto. Sempre per la legge di mercato che prevede, a fronte di un’ offerta bassa, prezzi alti”.
La riforma, secondo l’ Associazione, presenta anche un altro aspetto oneroso per i destinatari della riforma, ovvero i condòmini. “Il disegno di legge impone di procedere al decreto ingiuntivo contro il condomino moroso entro 4 mesi dalla scadenza del pagamento non effettuato – sottolinea il presidente Bica – questo può avere un senso per contrastare l’ eterno ritardatario, ma non per le numerose famiglie che, soprattutto oggi, hanno seri problemi finanziari. Non ci pare questo il modo giusto per reagire alla crisi che, come abbiamo già rilevato in passato, si fa sentire anche in condominio“.