Capita, a volte, che il lavoro commissionato ad un artigiano non si riveli soddisfacente, perché magari presenta vizi oppure risulta difforme da quanto preventivamente concordato. Si pensi, ad esempio, al falegname che fabbrichi alcuni mobili da cucina, su misura, sbagliando però le proporzioni, oppure all’ elettricista che progetti un impianto di sicurezza che causi continui falsi allarmi. O, ancora, al fabbro che realizzi grate da applicare alle finestre di un appartamento con un disegno diverso da quello convenuto. Che fare, allora?
In questi casi il combinato disposto degli artt. 2226 e 1668 cod. civ. consente al committente di chiedere, in via alternativa, che tali difetti vengano eliminati a spese dell’ artigiano (definito tecnicamente prestatore d’ opera) ovvero che il prezzo sia proporzionalmente diminuito. Oppure, ancora, nel caso in cui i vizi o le difformità in parola risultino tali da rendere l’ opera del tutto inadatta alla sua destinazione, di domandare la risoluzione del contratto.
Tuttavia, perché questi rimedi possano essere attivati, è necessario rispettare precise scadenze. Bisogna, infatti, che il committente denunzi al prestatore d’ opera i difetti di cui trattasi entro otto giorni dalla loro scoperta e che lo stesso committente si rivolga all’ Autorità giudiziaria (Giudice di pace o Tribunale ordinario a seconda del valore della causa) entro il termine prescrizionale di un anno dalla consegna dell’ opera.
Questo – beninteso – sempreché i vizi o le difformità in parola non fossero conosciuti oppure (ma in tal caso non devono essere stati dolosamente occultati dall’ artigiano) riconoscibili da chi ha commissionato l’ opera medesima al momento dell’ accettazione (espressa o tacita) di questa.
Discorso parzialmente analogo allorché i lavori di cui sopra siano stati commissionati, non ad un artigiano, ma ad una ditta con dipendenti. In tal caso, la disciplina applicabile non è più quella del contratto d’ opera, che presuppone un’ attività prettamente individuale (come è appunto l’ attività dell’ artigiano), ma è quella del contratto d’ appalto, che si caratterizza per la presenza di un’ attività imprenditoriale.
Questo significa che, seppur i rimedi previsti (e le condizioni perché operino) siano gli stessi, cambiano i tempi entro cui attivarli. L’ art. 1667 cod. civ. prevede, infatti, che le difformità o i vizi dell’ opera debbano essere denunziati a chi l’ ha eseguita (definito tecnicamente appaltatore) entro sessanta giorni dalla loro scoperta e che il termine prescrizionale per ricorrere al giudice sia di due anni dalla consegna dei lavori.
Corrado Sforza Fogliani
presidente Confedilizia