Un’ impresa vittima del racket corre il rischio di essere esclusa per tre anni dagli appalti, se non denuncia l’ estorsione subita. Ma non tutti sono d’ accordo sull’ interpretazione della norma contenuta nel pacchetto sicurezza. Secondo i costruttori, resta troppo greve il peso della responsabilità in capo alle imprese, “mentre lo Stato continua a sottrarsi ai propri doveri”, dice il responsabile del comitato Mezzogiorno Ance, Vincenzo Bonifati; mentre alla Procura nazionale antimafia sottolineano “almeno tre punti che denunciano la pericolosa debolezza dell’ impianto”.
Visuali differenti sullo stesso tema. A questo punto, la risposta verrà dall’ applicazione della modifica apportata giovedì al Codice dei contratti pubblici. Già nella formazione della legge sicurezza, comunque, le divergenze tra imprese e magistrati erano emerse con forza.
Secondo la nuova normativa, l’ imprenditore che subisca e non denunci pressioni mafiose, potrà essere escluso dagli appalti, anche se proverà di essere vittima e non complice delle cosche. Ma la sanzione scatterà a certe condizioni: se, per esempio, sarà riconosciuta l’ aggravante della modalità mafiosa e se a carico dell’ estortore sarà stata almeno depositata una richiesta di rinvio a giudizio nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando d’ appalto.
Secondo Bonifati, è condivisibile l’ obiettivo che si prefigge la norma, ma bisogna lavorare ancora sulle rispettive responsabilità. l costruttori chiedono le white list di fornitori, subappaltatori, imprese locali cui rivolgersi senza rischi. L’ infiltrazione mafiosa viene dal basso, dal territorio in cui si aprono i cantieri, è assurdo che l’ impresa risponda per i comportamenti di un capocantiere o del titolare di una cava da cui, operando in quell’ area, deve per forza rifornirsi. “Le prefetture facciano gli elenchi di persone e ditte a posto e noi ci atterremo a quelli, dice Bonifati. Ma garantiscano loro. Invece, non solo dobbiamo fare da soli, ma anche essere esposti ai danni giudiziari di eventuali errori o smagliature”.
Alberto Cisterna, sostituto della Direzione nazionale antimafia, esprime invece altre preoccupazioni e fa notare che non esiste solo il racket mafioso, ma anche i cattivi amministratori che chiedono tangenti: “Però questo rischio è escluso dalla normativa, che scatta solo in presenza di un’ aggravante specifica di mafia. Ma la malaburocrazia non ha bisogno di mandare in cantiere la testa di un cavallo per costringere un’ impresa a pagare”.
Oltre a escludere la normale concussione, la norma reintroduce lo stato di necessità (L.689 / 81, art.4), usato più volte per giustificare i silenzi impauriti (ma anche complici) delle vittime; infine, c’ è quel riferimento al rinvio a giudizio dell’ estortore “che – spiega Cisterna – mentre rende la denuncia un fattore determinante per inchiodare i criminali, fa anche scattare la sanzione per chi non avesse denunciato prima. Così, può sembrare più conveniente tacere, perché se la prova non viene raggiunta, anche l’ esclusione è evitata”.