Occorre un piano capace di rimettere ordine negli spazi degradati delle città, dice l’ Ance. Da non trascurare la proposta delle new town tirata fuori da Silvio Berlusconi in appendice al via libera al piano casa. Ma il dubbio di architetti e urbanisti è unanime: su quale modello trovare una risposta convincente alla rapida e disordinata crescita delle aree metropolitane, soprattutto nelle zone periferiche, all’ espansione spesso informale che ha caratterizzato lo sviluppo delle nostre città? Quartieri satellite, sia pure di nuova concezione?
Proposta difficile da attuare senza grossi investimenti in infrastrutture, reti di mobilità e servizi. Né è pensabile la città di fondazione, come quelle che anche alcuni architetti italiani (Maggiora, Gregotti, solo per citare qualche esempio) stanno progettando in Cina, in un territorio limitato e già troppo costruito come quello italiano. La parola d’ ordine è sostituzione edilizia. Ovvero interventi di demolizione e ricostruzione, riqualificazione delle aree dismesse, mirate a mettere a sistema un tessuto urbano spesso cresciuto in modo spontaneo.
In Italia – dicono gli esperti – dobbiamo stare attenti a non giocarci quel po’ di Bel Paese che ancora ci rimane. Tutta l’ Europa sta riflettendo sul tema della ridensificazione della città diffusa, che ha consumato troppo territorio e moltiplicato gli spostamenti in auto. Gli olandesi, con Almere e Jiburg, e gli inglesi, con Milton Kenes, un esempio di città territorio, hanno sperimentato il tema delle new town in forma integrata.
Piuttosto che creare città nuove, gli urbanisti vedono nell’ innesto sul costruito una strategia che sappia unire la necessità di privacy, la qualità ambientale e il rapporto con il paesaggio delle migliori esperienze del Nord Europa con l’ amore per la compattezza e per l’ intensità dello spazio pubblico della tradizione italiana.
“Basso costo di costruzione, zero consumi energetici, mix funzionali capaci di ricreare la vita di quartiere” è la formula di Mario Cucinella, appena premiato al Mipim per la sua casa look, ripagabile attraverso gli incentivi del Conto energia. “Bisogna superare l’ esperienza accademica dei quartieri dormitorio realizzati negli anni 70 – dice -: abbiamo enormi brani di città da completare, sarebbe inutile e dannoso consumare nuovo suolo”.
Secondo Cucinella, che cita l’ esempio del quartiere Vauban a Friburgo, nato sulle ceneri di una vecchia caserma, “bisogna usare l’ emergenza casa per svecchiare modelli abitativi ancora fermi agli standard degli anni ’50, sfruttare i salti tecnologici per produrre abitazioni a basso costo e zero consumi, realizzando all’ interno delle città eco – quartieri, capaci di innalzare anche la qualità della vita delle persone che vi abitano”.
La parola chiave è sostituzione edilizia, anche attraverso premi di cubatura, dice Paolo Desideri: socio dello studio romano Abdr, Desideri è autore del progetto di demolizione e ricostruzione delle palazzine pericolanti di via Giustiniano Imperatore. “Se l’ obiettivo è mettere a rete, creare sinergie con quanto abbiamo già (troppo) costruito, allora ben vengano anche le new town”, dice. “Ma senza creare nuove periferie”.
Un obiettivo che è al centro anche del Piano di governo del territorio allo studio a Milano, cui ha lavorato il team dei quarantenni Metrogramma. “La città – spiega Andrea Boschetti, uno dei due soci – si deve ricostruire su se stessa, modernizzandosi e dando sfogo allo sviluppo sulle zone dismesse o incomplete e valorizzando la vocazione pubblica, aggregatrice, degli spazi inedificati che dovranno costituire la rete invariante della città di domani”.
Fonte: Ance