La realizzazione di interventi rivolti alla eliminazione delle barriere architettoniche ha bisogno dell’ approvazione dell’ assemblea: è sufficiente la maggioranza semplice, cioè il voto favorevole di un terzo dei condomini. Ci sono, ovviamente, dei limiti da valutare: la sicurezza del fabbricato durante l’ esecuzione degli interventi, l’ alterazione del decoro architettonico, l’ intervento non deve impedire l’ uso di una parte comune anche ad un solo condomino né deve comportare un deprezzamento dell’ edificio condominiale o anche dell’ unità immobiliare di un solo condomino. In questi casi non è possibile rimuovere le barriere architettoniche.
Se l’ assemblea rifiuta il consenso entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione, chi è costretto per necessità a realizzare interventi volti a favorire i disabili, può installare tutti gli impianti che servano al caso sostenendone le spese: servoscala, piattaforme mobili, sistemi di apertura automatica di porte o cancelli, strutture mobili o rimovibili facilmente. E modificare l’ ampiezza delle porte d’ accesso agli ascensori o alle rampe dei box.
Per questi interventi è possibile richiedere finanziamenti a fondo perduto mediante domanda indirizzata al sindaco del Comune di residenza. Ma occorrono delle precisazioni per quanto riguarda il lato economico, cioè la ripartizione delle spese. Perché è ovvio che il consenso dell’ assemblea comporti l’ addebito delle spese in capo a tutti i condomini, in quanto il consenso stesso conferma che l’ intervento è ritenuto utile per tutti e non solo per chi ne ha fatto richiesta.
Naturalmente, se l’ assemblea nega il consenso, le spese restano tutte a carico dei richiedenti, che comunque possono usufruire dei contributi regionali. Se poi è il locatario di una unità immobiliare a inoltrare la richiesta di modificare le parti comuni, senza il consenso del condomino locatore, è lui solo a farsi carico delle spese, senza alcun aggravio economico sugli altri condomini.