Dal 10 luglio scorso le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia del Senato stanno analizzando il testo del disegno di legge recante le “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che andrà a completare il quadro delle norme del cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” previsto dal Governo. Il disegno di legge prevede la modifica di due ipotesi di reato previste dal codice penale, poste a tutela degli immobili e del decoro urbano: la prima fattispecie si muove verso una direzione condivisibile – seppure ancora non del tutto soddisfacente sul piano dei risultati pratici – mentre la seconda continua a destare serie perplessità sulla sua reale efficacia, sia preventiva, sia repressiva. Non poche correnti opinionistiche considerano alcuni graffiti una forma d’arte, così come non paiono troppo di scuola le ipotesi in cui qualcuno decida di aggiungere il proprio graffito sul muro di un edificio già preso di mira dai writers: in tale ipotesi, come si dirà, potrebbero sorgere problemi di accertamento dei reati ridisegnati.
L’art. 4 del disegno di legge interviene sul reato di danneggiamento ampliando l’area operativa della fattispecie aggravata. Infatti la riforma prevede prevede l’inserimento, all’interno dell’art. 635 cod. pen., del comma 3 bis, in base al quale, la pena sarà della reclusione da sei mesi a tre anni, qualora il danneggiamento sia commesso su “immobili sottoposti a risanamento edilizio o ambientale”.
Si allarga pertanto la gamma degli immobili protetti dalla fattispecie aggravata (la sola, peraltro, procedibile d’ufficio): risultano ora tutelati non più i soli edifici pubblici o destinati al culto, o gli immobili ubicati nel perimetro dei centri storici, nonché le cose di interesse storico o artistico ovunque ubicate, ma anche quegli edifici che siano stati interessati da lavori di risanamento, ovunque siano collocati. A ben vedere, tuttavia, la modifica, seppure, come di è detto, condivisibile in linea di principio, non può che lasciare perplessa Assoedilizia, che, da tempo, chiede che vengano varate norme che tutelino in modo più coraggioso tutti gli immobili da atti di danneggiamento, a prescindere dalle loro qualità ed ubicazioni.
Appare del tutto corretta, invece, l’introduzione all’interno dell’art. 635 cod. pen. del comma 3, in base al quale, tra l’altro, qualora il danneggiamento sia compiuto sugli immobili di cui si è detto sopra, “la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».
In breve. La sospensione condizionale della pena (che può essere concessa qualora la pena inflitta non sia superiore a due anni di reclusione) è subordinata o alla riparazione a proprie spese di quanto danneggiato, o alla prestazione di lavoro socialmente utile: chi rompe paga, davvero. Diverso, invece, il giudizio sull’art. 5 del disegno di legge che reca le modifiche all’art. 639 cod. pen. in tema di deturpamento di cose altrui. Anche in questo caso si introducono nel novero degli edifici tutelati dal comma 2 dell’art. 639 cod. pen. gli immobili sottoposti a risanamento edilizio o ambientale. Il Legislatore, tuttavia, si spinge oltre e tutela altresì con l’ipotesi aggravata “ogni altro immobile, quando al fatto consegue un pregiudizio per il decoro urbano”. Questa disposizione, pur apprezzabile in linea di concetto, corre il rischio di essere in realtà di scarsa applicazione, quando non addirittura foriera di pregiudizi. La tutela di tutti gli immobili contro le varie forme di deturpamento ed imbrattamento, infatti, è subordinata ad una condizione obiettiva di punibilità, ovverosia che, perché si integri il reato, è necessario che ci sia un concreto “pregiudizio per il decoro urbano”.
Il Legislatore pertanto affida alla soggettività del singolo Giudice il compito di valutare se il caso concreto abbia o meno leso il paesaggio urbano, scelta questa che potrebbe generare tensioni rispetto ad esigenze di eguale applicazione della legge nei confronti di tutti i cittadini. Nelle ipotesi già menzionate in cui più mani si succedano, sarebbe difficile sostenere come la seconda scritta abbia causato un “pregiudizio al decoro urbano”, dal momento che l’immobile era già stato imbrattato da altri. Ciò a prescindere dalle preoccupazioni circa l’inquadramento di alcuni graffiti come manifestazioni di genuino estro artistico. La prova della causazione del nocumento, pertanto, non sarà né agevole né, ragionevolmente, omogenea. Qualora tale nocumento non ricorra, il fatto illecito resterà configurabile nella sola ipotesi attenuata prevista dall’art. 639 primo comma codice penale, fattispecie tra l’altro perseguibile a querela di parte (con tutte le conseguenze facilmente prevedibili, sul piano della punibilità in concreto, che tale impostazione implica).