Basta con i soldi dei cittadini destinati al nucleare voluto dal Governo Berlusconi. I pochi soldi pubblici per la ricerca italiana in campo energetico vengano investiti solo in efficienza e rinnovabili, promuovendo l’unica innovazione tecnologica in grado di far traguardare al nostro Paese l’obiettivo europeo di riduzione del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2020”. Lo chiede Legambiente che oggi ha organizzato un sit-in davanti alla sede Enea dove è in corso la presentazione del Rapporto Energia e Ambiente 2007 alla presenza di alcuni ministri del Governo tra i quali quello dello Sviluppo Economico Claudio Scajola.
“ il nucleare che vuole il ministro Scajola è una tecnologia di terza generazione che, anche nella versione “evoluta”, non ha risolto i soliti problemi di produzione e smaltimento delle scorie, sicurezza e approvvigionamento di uranio. Sarebbe una vera follia investire oggi immense somme di denaro pubblico su una tecnologia che nasce già vecchia. Il nucleare di quarta generazione infatti è ancora nella fase di sperimentazione e nella migliore delle ipotesi vedrà la luce nel 2030”.
Il nucleare tanto caro al Governo, secondo Legambiente, non serve poi per recuperare i ritardi rispetto agli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera, anche perché produce solo energia elettrica che corrisponde ad un 15% circa degli usi finali di energia, mentre il restante 85% è relativo al consumo energetico dei trasporti, industria e produzione di calore. Il contributo del nucleare alla riduzione dei gas serra, insomma, è pressoché trascurabile.
“Per l’Italia puntare sul nucleare equivarrebbe ad abbandonare qualsiasi prospettiva di riduzione delle emissioni di CO2 – spiega il responsabile scientifico di Legambiente – e se il nostro Paese decidesse di realizzare alcune centrali nucleari, direbbe addio agli obiettivi di diffusione di fonti rinnovabili, efficienza energetica ed innovazione tecnologica, perché i due investimenti sono alternativi”.
Il rischio per l’Italia, secondo Legambiente, è quello di uscire da uno scenario comunitario che al 2020 prevede il 30% di riduzione delle emissioni di CO2, il 20% di produzione energetica da rinnovabili e il 20% di miglioramento dell’efficienza energetica. Ed è un rischio molto concreto perché nella migliore delle ipotesi la prima centrale entrerebbe in funzione tra almeno 10 anni.
“E poi – aggiunge Ciafani – finiamola con la storia che il nucleare serve all’Italia per ridurre la bolletta energetica e la dipendenza del Paese dall’estero. Stiamo parlando di una tecnologia che nel mondo è in declino proprio per i costi eccessivi dovuti allo smaltimento delle scorie e allo smantellamento delle centrali, come sostenuto da autorevoli istituti di ricerca internazionali come il Mit di Boston o lo stesso Dipartimento dell’energia statunitense. A meno che non sia lo Stato che, con una evidente forzatura delle regole di mercato, copra i costi della chiusura del ciclo. Ma allora dov’è la convenienza di tutta questa operazione? Il Governo abbia il coraggio di dire la verità agli italiani: sta candidando l’Italia a promuovere un programma arretrato e insicuro di centrali di terza generazione, sulla cui tenuta economica dovrà garantire comunque lo Stato, con buona pace degli obblighi previsti dai trattati internazionali contro i cambiamenti climatici e con un salasso non indifferente per la collettività costretta a pagare le multe salate previste dall’accordo europeo 30-20-20, vincolante per tutti gli Stati membri.
Parlare di nucleare in Italia – conclude Ciafani – fa perdere tempo ad un Paese come il nostro che ne ha già perso troppo a proposito di riduzione delle emissioni di gas serra. La strada da seguire è molto più semplice e più desiderabile. E’ quella fondata soprattutto sull’efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, una soluzione più immediata, sostenibile e addirittura più economica”.