Architettura e cucina o, meglio, architettura e gusto. Ma qual è il legame tra l’architettura e il senso del gusto? Come succede per tanti linguaggi affini, pensiamo alla musica, alla pittura, alla scultura, alla fotografia, dove esiste un sistema di corrispondenze già teorizzato e sperimentato, così esistono anche tra la tavola e l’architettura molti aspetti comuni ed equivalenti sensazioni. Progettare edifici ricchi e grassi o costruzioni magre e asciutte oppure strutture semplici e tradizionali sono equivalenze e contrapposizioni che possono ricordare la cucina sofisticata e sperimentale che viene definita come “Nouvelle Cuisine”. Simili esperimenti sono stati già fatti da gruppi di ricerca come il Team Fat (Fashion Architecture Taste) di Londra negli anni a cavallo del 2000. C’è anche da sottolineare come il mondo della cucina e quello dell’architettura siano oggi entrambi star di un ambito sicuramente alla moda e che fa notizia. Architettura e cucina sono due linguaggi, due entità legate reciprocamente dal fatto che il cibo si prepara e si cuoce in uno spazio architettonico spesso di scarsa qualità. Architetto e cuoco sono due figure esperte e creative con affinità di fasi nel processo progettuale: composizione, costruzione, estetica e forma. La cucina è l’ambiente attrezzato per la preparazione e la cottura dei cibi e prevede una parte di arredo fisso per gli elementi tecnici e tecnologici, indispensabili e necessari per la realizzazione dei pasti, e una parte costituita da mobili componibili o pensili aggregati di supporto. Allo stesso modo, l’edificio è il contenitore riservato e attrezzato per la vita pubblica e privata dell’uomo; anch’esso prevede una serie di componenti fissi come porte, finestre, scale, indispensabili elementi per la sua funzione.
Il cuoco è sempre stato una figura nascosta e schiva, mentre oggi si ritrova al centro dell’interesse dei mass media; non è un caso se lo spazio della cucina si apre sempre più per mostrarsi ai clienti, assecondando le richieste del pubblico di vedere all’opera la preparazione del cibo. La cucina, possiamo dire, è diventata un palcoscenico, un’esibizione in divenire per il pubblico, anche quello domestico. E’ Lì infatti che il “cuoco” (il padrone/a di casa) “mostra” il suo meglio e il suo senso di accoglienza, che è immediata testimonianza dell’intelligenza e della creatività dell’ospite e che, in qualche modo, sempre più spesso coinvolge gli invitati a partecipare insieme alla creazione di queste “rappresentazioni”. Nei ristoranti la tendenza attuale richiede una tecnologia tutta trasparente, vetrata, quasi uno spazio algido, unico, dove la lavorazione e la preparazione con fuochi, forni, lavelli si confondono, al di là del vetro, con lo stesso consumo. Nelle case lo spazio “intorno” alla cucina è lo stesso in cui far convergere e dialogare le persone, facendole sentire parte di un mondo che presenta e non ostenta il gusto e la conoscenza (dei dettagli, della qualità, in una parola del saper scegliere..) dell’ospite.
Ottenere uno spazio ottimale per la cucina non significa semplicemente accostare una serie di
elementi e macchinari tecnologici perfetti, o un sistema di aerazione e aspirazione efficiente, o un numero consistente di dispense, depositi, armadi e fuochi all’avanguardia: il contributo del lavoro dell’architetto è fondamentale per rendere questo luogo un buono o un cattivo esempio.
Il progetto di una cucina è un mondo a parte, perché esigenze normative legate a sicurezza, igiene, vivibilità, abitudini e produzione di cibo hanno portato ad una forte separazione fra i diversi ambienti della lavorazione e produzione del cibo. La cucina come l’architettura è cultura: i piatti come gli edifici sono pensati e costruiti dal livello di preparazione e dalla sensibilità dello chef e dell’architetto. Anche in cucina gli ingredienti di un piatto non devono essere mai confusi e pasticciati, ma riconoscibili e individuabili. L’architettura come i buoni sapori può avvicinare l’uomo alla natura facendogli scoprire e vivere emozioni e sensazioni inusuali e nuove.
Quando si pensa alla cucina spesso molto dipende dalla moda del momento.
Sicuramente essa rimane un luogo altamente tecnologico, non solo per il grande uso di macchine, attrezzature e impianti relativi al buon uso di tali spazi (che non ha paragone in nessun altro spazio domestico): oggi i cuochi più sensibili e attenti creano con gli architetti il loro spazio di lavoro secondo una personale filosofia, ricorrendo a elementi assemblati e studiati nei vari spazi e collocati al servizio delle proprie esigenze. Le cucine di questi chef sono come dei laboratori di ricerca scientifici e personali dove aleggia lo spirito di chi li utilizza con le proprie finalità, livello di cultura, obiettivi e qualità di lavoro che viene espressa. Le cucine anonime non appartengono a nessuno, non comunicano con nessuno, e spesso, non corrispondono ai grandi livelli di tecnologia che tentano di mostrare. Va comunque sottolineato che ancor oggi sia la maggior parte del cibo che consumiamo, sia l’architettura che viviamo, non sono né cibi né edifici di qualità, ma più spesso sono prodotti di fast food, panini all’autogrill e paesaggi di architetture ibride e inguardabili.
Miele: l’architettura del gusto e delle cucine
di 24 Giugno 2008Commenta