Efficienza energetica, unificazione del mercato, abbattimento delle emissioni e integrazione verticale. Sono queste le condizioni per rendere il mercato europeo dell’energia realmente liberalizzato. È quanto ha affermato Fulvio Conti, Amministratore Delegato di Enel, nel suo intervento al 20° Congresso Mondiale dell’Energia.
Il futuro, il mercato dell’energia, le azioni da tenere per un domani sostenibile. Sono stati questi i temi affrontati nell’ultima giornata del World Energy Congress, caratterizzata dalla presenza alla nuova Fiera di Roma dell’Amministratore Delegato di Enel, Fulvio Conti, a una tavola rotonda e protagonista di un intervento all’assemblea plenaria del Wec, nel corso della quale ha sottolineato come il mercato europeo dell’energia si muova in un contesto asimmetrico.
«Il mercato dell’energia europeo non può rimanere locale. Serve un unico mercato paneuropeo». Deve essere adottato un approccio globale, continentale – ha sottolineato Conti – e un coordinamento politico tra i Paesi dell’Unione è importante anche per far fronte alla penuria di riserve di petrolio e gas. Serve un approccio integrato, piuttosto che 27 diversi sforzi bilaterali».
Entrambi gli interventi avevano come oggetto le politiche per affrontare i cambiamenti climatici dopo il 2012, anno in cui il protocollo di Kyoto “chiederà il conto”. In tema di liberalizzazione del mercato, Italia e Regno Unito sono gli esempi più virtuosi da seguire. Nel nostro Paese, questa politica ha fatto sì che entro due anni saranno in funzione, tra nuove centrali e riconversione di vecchi impianti, circa 30mila megawatt di capacità aggiuntiva. Un terzo in più rispetto al 2001.
Secondo quanto affermato da Conti, la liberalizzazione ha come primi effetti la trasparenza del mercato, il rallentamento della crescita dei prezzi e l’innovazione tecnologica. Nel suo intervento, l’AD di Enel ha spiegato che «servirà una maggior trasparenza, la creazione di un’agenzia per gli scambi transfrontalieri e interventi governativi». In virtù soprattutto della scarsità di accesso alle materie prime, il coordinamento politico assume una valenza strategica.
Conti ha poi chiesto più fusioni transfrontaliere, «che sono una buona cosa per i mercati europei. Anche a livello di potere di negoziato, c’è bisogno di un approccio comune con i fornitori, soprattutto con Gazprom». L’obiettivo finale è quello di soddisfare la cosiddetta equazione energetica: garantire un rifornimento energetico adeguato, sicuro, sostenibile e a buon mercato.
Per far fronte a questa sfida, in Italia Enel propone un patto per gli investimenti, che include fonti rinnovabili, tecnologie per l’abbattimento delle emissioni di CO2 , efficienza della domanda e degli approvvigionamenti, e nuove infrastrutture per il trasporto (specialmente del gas). La politica deve assicurare autorizzazioni accurate, ma allo stesso tempo rapide e certe.
Nella prima sessione della giornata, l’AD di Enel e alcuni prestigiosi delegati dal mondo accademico, scientifico e industriale, avevano illustrato il loro punto di vista circa le politiche da intraprendere allo scadere del Protocollo Kyoto, nel 2012. Per Conti, l’aumento delle emissioni di CO2 dimostra la relativa inefficacia dei dispositivi previsti: «Nonostante gli sforzi, tra 1990 e 2005 le emissioni globali di CO2 sono aumentate del 22%, da 21,6 a 26,4 miliardi di tonnellate l’anno, soprattutto a causa dei Paesi in via di sviluppo».
E il «fallimento» del Protocollo, ha rilevato Conti, è dovuto principalmente al fatto che «non c’è un approccio globale». Infatti, secondo l’AD di Enel, «solo il 30% dei Paesi responsabili di emissioni di anidride carbonica hanno sottoscritto il protocollo». Proprio per questo, sottolinea, «è necessario un coinvolgimento globale», in particolare da parte degli Stati Uniti, dalla Cina e dell’India. Solo con il loro coinvolgimento sarà possibile vincere la sfida del cambiamento climatico.
Nel «post-Kyoto» per ottenere significativi risultati, sarebbe necessario coinvolgere tutti i Paesi del mondo, fissare obiettivi ragionevoli e raggiungibili, usare le tecnologie, incoraggiare meccanismi flessibili e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e la diversificazione delle fonti. Inoltre, ha evidenziato Conti, «è necessario continuare ad investire nelle fonti rinnovabili».
Su tre punti c’è stato consenso tra gli esperti intervenuti: partecipazione di tutti i Paesi responsabili di emissioni, maggiori investimenti nello sviluppo tecnologico e ambiziosi obiettivi a lungo termine. Se le politiche adottate finora sulle emissioni non cambiano, c’è il rischio che nei prossimi anni la temperatura mondiale possa aumentare fino a 6 gradi.
A prevederlo è il capo economista dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, Fatih Birol, che durante una tavola rotonda organizzata da Enel al Wec, si è soffermato ad analizzare il World Energy Outlook 2007. Birol ha sottolineato che Cina e India stanno modificando lo scenario energetico in virtù delle loro dimensioni e, anche sul fronte delle emissioni, stanno raggiungendo i primi posti nella classifica mondiale.
Per questo, ha esortato Birol, «Cina e India devono essere coinvolte, integrate nel sistema e ricevere incentivi», perchè «con le attuali politiche ambientali si avranno ripercussioni sul clima che porteranno ad un aumento della temperatura mondiale fino a 6 gradi al 2030». Cina e India stanno trasformando i mercati; da loro è giunto il 70% della crescita della domanda petrolifera negli ultimi 6 trimestri.
«Un terzo delle emissioni cinesi proviene da attività svolte per produrre beni da esportare in tutto il mondo, per questo il problema deve essere affrontato da tutti i Paesi. Bisogna incentivare e coinvolgere la Cina nel processo verso un mondo sostenibile, altrimenti non abbiamo possibilità di soluzione», ha affermato Birol.
Secondo Robert Stavins, direttore del Programma di economia ambientale dell’Università di Harvard, il protocollo di Kyoto non è sufficiente, perché «realizza troppo poco e troppo in fretta», e i costi per mantenere gli impegni sono troppo alti. «L’architettura per un accordo – dice Stavins – dovrebbe essere flessibile e graduale per coinvolgere tutti i Paesi che producono CO2».
Dal punto di vista europeo, Carlo Carraro, manager del Centro Euro Mediterraneo per i cambiamenti climatici, ha lanciato un appello: «Dobbiamo drasticamente aumentare la quota del Pil dedicata alla ricerca e allo sviluppo, altrimenti non riusciremo a raggiungere il target proposto dall’Unione Europea di stabilizzare le emissioni a 450 parti per milione entro fine secolo, per evitare che le temperature aumentino di più di 2 gradi».
«I negoziati per il post Kyoto – ha detto Halldor Thorgeirsson, direttore del Programma per i meccanismi di sviluppo sostenibile dell’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) – sono già iniziati. Alla Conferenza di Bali, a dicembre, stabiliremo gli obiettivi e il calendario di intervento da intraprendere entro il 2009, quando tutte le parti si incontreranno a Copenaghen».