Uno dei problemi che coinvolge molti condomini in liti furenti è la gestione dell’impianto termico condominiale. Orari di accensione e la temperatura di esercizio non riescono mai a mettere d’accordo tutti e c’è sempre qualcuno che non è soddisfatto della gestione in comune dell’impianto di riscaldamento. La soluzione che spesso viene proposta dagli stessi condomini o dall’amministratore è quella del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato per poter rendere autonomo e indipendente nella gestione dell’impianto termico ogni condomino.
Vediamo di esaminare le problematiche normative e legislative che comporta il distacco dall’impianto termico condominiale centralizzato e l’installazione di caldaie a gas.
La situazione in campo normativo e legislativa è molto complicata.
Le norme di riferimento legislative sono il D.P.R. 412/93, la legge 1083/71, la legge 46/90, le direttive europee e le norme tecniche dell’ UNI e dell’EN.
Ti puoi quindi immaginare in che guazzabuglio finisce un condomino proprietario, ma anche un amministratore di condominio quando devono affrontare il problema.
Per quanto riguarda gli impianti a gas, occorre fare riferimento alla norma tecnica UNI 7129 del 1992 che va applicata per gli apparecchi a gas ad uso domestico. Tale norma permetteva l’installazione di caldaie tipo A e B nei luoghi abitati, tranne nel bagno e nelle camere da letto.
Successivamente, il D.P.R. 412/93 all’art. 5, comma 10, vietava l’installazione per i nuovi impianti e le ristrutturazioni delle caldaie di tipo B all’interno delle abitazioni, facendo però una distinzione sulla destinazione d’uso della caldaia. Cioè se la caldaia di tipo B era destinata al riscaldamento non si poteva installare all’interno dei locali abitati. Se invece la caldaia era destinata solo alla produzione di acqua calda sanitaria ad uso individuale, poteva essere installata all’interno delle abitazioni.
Successivamente, dopo circa sette anni, entra in vigore il D.P.R. 551/99 che cambia di nuovo le regole in materia. Ora le caldaie di tipo B si possono installare nei locali abitativi tranne il bagno e la camera a letto.
Ma non basta ancora. Dopo appena un anno, le norme cambiano di nuovo con la modifica della norma UNI 7129/01 pubblicata nel dicembre del 2001 che vieta l’installazione di tutti gli apparecchi a gas nei locali classificati con pericolo di incendi come box, garage e rimesse e vieta l’installazione anche in quei locali in cui è presente un caminetto se non è dotato di afflusso di aria propria.
Successivamente la legge n.39 del 01/03/2002 abroga l’apertura di ventilazione minima di 0,4 metri quadri nei locali dove sono installate le caldaie di tipo B. Per cui resta vietata l’installazione di caldaie tipo B nei locali dove sono presenti caminetti che non dispongono di una presa d’aria autonoma e indipendente.
A complicare le cose si aggiunge la norma UNI 10683/98. Nei casi in cui nello stesso locale sono presenti una caldaia di tipo B atmosferico e un caminetto a legna, per la norma UNI 7129 l’installazione è consentita, mentre per la norma UNI 10683 l’installazione è vietata.
Per decidere se si può installare una caldaia a gas dove c’è un caminetto a legna nello stesso locale occorre tenere conto delle date di installazione sia del caminetto che della caldaia e delle date di entrata in vigore delle norme UNI 7129/92 e della norma UNI 10683/98. Un vero rompicapo.
Occorre quindi tenere conto delle norme tecniche dell’UNI e delle disposizioni di legge che si occupano di sicurezza degli impianti, in particolare la legge 1083/71 che riguarda la sicurezza di tutti gli impianti a gas combustibile e la legge 46/90 che riguarda la sicurezza di tutti gli impianti in abitazioni civili.
La legge 1083/71 fa riferimento alle norme pubblicate dall’ UNI e considera gli impianti sicuri se sono conformi alle norme dell’UNI approvate dal MICA (Ministero dell’ Industria del Commercio e dell’ Artigianato) con pubbligazione su Gazzetta Ufficiale.
La legge 46/90 invece considera sicuri e a regola d’arte gli impianti a norma realizzati secondo le tecniche di sicurezza dell’UNI e del CEI anche se non approvati dal MICA.
La legge più importante comunque è la legge 1083 che considera reato la sua mancata applicazione, mentre la legge 46/90 prevede sanzioni amministrative in caso di inadempienze. In questo guazzabuglio di leggi e norme, noi consigliamo di rispettare la norma tecnica più recente che automaticamente dovrebbe garantire il rispetto della norma più obsoleta.
La storia non finisce qui. Successivamente alla legge 46/90 è uscito il D.P.R. 218/98 e la norma UNI 10738.
La norma UNI 10738 ha imposto una scheda di verifica degli impianti definita nell’allegato F. Mentre il D.M. del 26/11/1998 ha imposto che tale scheda di verifica deve essere sostituita da un’altra scheda riportata su Gazzetta Ufficiale nell’allegato II del decreto.
La differenza tra le due schede sta nel titolo, infatti quella in G.U. fa riferimento al D.P.R. 218. Tuttavia gli impianti che vengono installati dopo il 13/03/1990 non rientrano nel campo di applicazione del d.P.R. 218/98 e nemmeno in quello della UNI 10738. Quindi la scheda di verifica dell’UNI 10738 non sostituisce la dichiarazione di conformità prevista dalla 46/90.
Successivamente il MAP (Ministero delle Attività Produttive) ed il CIG hanno chiarito che la norma UNI CIG 10738 fornisce solo delle linee guida per la verifica delle caratteristiche funzionali degli impianti a gas ad uso domestico preesistenti alla data del 13/03/1990 e che gli interventi di adeguamento necessitano sempre della dichiarazione di conformità.
Come se tutto questo non bastasse anche la direttiva europea 90/396/CEE recepita dal D.P.R. 661/96 stabilisce l’obbligo del dispositivo di controllo evacuazione fumi per ogni apparecchio collegato ad un condotto di evacuazione fumi dei prodotti della combustione. Tale dispositivo, in caso di tiraggio anomalo deve impedire la produzione di esalazioni pericolose nel locale in cui è installato l’apparecchio.
Il FA-2 della norma UNI 7271 del dicembre 1991, recepito dal Ministero dell’Industria del Commercio e dell’ Artigianato, pubblicato su Supplemento ordinario n. 43 alla G.U. n. 101 del 03/05/1993, rendeva obbligatorio l’installazione di tale dispositivo per le caldaie di tipo B1 che ne erano sprovviste.
Successivamente il DPR 412/93 stabiliva l’obbligo per le caldaie di tipo B1 di essere munite del dispositivo di controllo. Esiste quindi l’obbligo da parte del costruttore di caldaie di installare in fabbrica tale dispositivo, mentre non esiste un obbligo per il proprietario e per l’impiantista manutentore di installare tale dispositivo per le caldaie che ne sono sprovviste, anche se, secondo noi, è bene sempre e comunque installarlo.
Per quanto riguarda la trasformazione di un impianto centralizzato in impianto autonomo in un condominio il riferimento legislativo è la legge 10/91 che all’art. 8 prevede contributi in conto capitale per tali trasformazioni.
Gli interventi di trasformazione devono essere fatti con lo scopo di ridurre il consumo di energia. Se la trasformazione non garantisce un risparmio energetico i contributi non sono leciti.
L’art. 26, comma 2 della legge in oggetto dice che per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi, ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’art. 1, ivi compresi quelli di cui all’art. 8, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali.
Le norme tecniche da considerare per la trasformazione dell’impianto in autonomo sono:
* La norma UNI 7129/92.
* Le norme UNI della serie 10300 e che riguardano le metodologie di progettazione e manutenzione rese obbligatorie dalla legge 10 e dal DPR 412/93.
* Le norme UNI 10640 del giugno 1997 sulle canne fumarie collettive ramificate per caldaie tipo B a tiraggio naturale.
* La norma UNI 10641 del giugno 1997 sulle canne fumarie collettive e camini a tiraggio naturale per caldaie a gas di tipo C con ventilatore nel circuito di combustione.
Le norme legislative prevedono:
* Per tutti gli impianti termici di riscaldamento a gas è obbligatorio il progetto, indipendentemente dalla potenza, da parte di un professionista che deve predisporre una relazione tecnica con allegato il progetto dell’impianto.
* Il professionista abilitato deve predisporre un progetto anche per le canne fumarie ramificate come previsto dalle legge 46/90.
* Il proprietario o l’amministratore del condominio devono presentare la DIA (dichiarazione di inizio attività) in Comune, insieme alla relazione tecnica e al progetto del professionista.
* Esiste l’obbligo che tutte le caldaie autonome a gas siano collegate ad appositi camini con sbocco oltre il tetto del condominio o a canne fumarie collettive sempre con sbocco oltre il tetto.
* Bisogna inoltre tener conto che sugli impianti autonomi grava il costo della manutenzione annuale e delle verifiche biennali che consistono nell’analisi dei fumi e del rendimento di combustione con il relativo pagamento della tassa all’ente locale di controllo.
* Se non è possibile dimostrare un reale contenimento dei consumi energetici tramite progetto e relazione tecnica, la delibera presa a maggioranza in assemblea condominiale può essere annullata dal giudice o essere già in partenza nulla. Tuttavia la Corte di Cassazione con sentenza n. 5843 del 01/07/1997 afferma che la decisione di trasformazione dell’impianto centralizzato in autonomo, può essere assunta ed è valida anche se non è accompagnata dal progetto e dalla relazione tecnica di conformità. Inoltre afferma che la trasformazione va assunta unicamente in relazione al contenimento del consumo energetico, alla sua fattibilità e alla sua convenienza economica.
E qui ci troviamo di fronte ad un cane che si morde la coda, perché per dimostrare la convenienza economica e il risparmio energetico, ho bisogno di fare un progetto di calcolo dimensionale, valutando diversi parametri climatici e caratteristici del condominio e quindi ho necessità di un progetto.
Per quanto riguarda il distacco unilaterale del singolo condomino dall’impianto centralizzato, la giurisprudenza propone alcune sentenze di Cassazione Civile tra di loro in contraddizione.
Una è la Sentenza n. 6269 del 30/11/1984, un po’ datata che non ammette il distacco unilaterale del singolo condomino perché ciò compromette l’equilibrio termico dell’edificio e un aggravio di spese di esercizio e conservazione per chi rimaneva collegato all’impianto.
Un’altra Sentenza è la n. 5974 del 25/03/2004, più recente, che invece ammette il distacco unilaterale dal riscaldamento centralizzato con distacco delle proprie tubature da quelle condominiali, senza approvazione da parte dell’assemblea, quando è possibile dimostrare che il distacco non compromette squilibri termici, nè aggravi di spesa per coloro che restano collegati. Comunque chi si stacca è tenuto a continuare a pagare per le spese di manutenzione e conservazione dell’impianto termico centralizzato, proporzionalmente alla propria quota millesimale. Mentre sarà esonerato dalle spese di consumo combustibile.
Un limite da tenere presente può venire dal regolamento di condominio contrattuale (richiamato negli atti di compravendita o depositato presso un Notaio o la Conservatoria) che può vietare il distacco del singolo condomino dall’impianto centralizzato, senza l’approvazione unanime di tutti i condomini.
Rif. Guida alla gestione e manutenzione degli impianti di riscaldamento, di Alfredo Marrocchelli, EPC libri.
Fonte: Proprietaricasa.org